Articolo di Caterina Civallero
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Pochi sanno che la straordinarietà e rarità delle gravidanze gemellari è tutt’altro che rara.
Si stima che una buona parte delle gravidanze comincia come gravidanza gemellare (la percentuale viene descritta in alcuni testi intorno al 10%, ma da ricerche condotte di recente il dato parrebbe molto sottostimato e si aggirerebbe intorno al 60-70% pertanto, ad oggi, i dati sono ancora imprecisi e incompleti). Si parla anche di gravidanze bigemellari, trigemellari quadrigemellari, che però terminano con la nascita di uno solo degli embrioni presenti.
Jean-Guy Sartrenear, ginecologo belga specialista in medicina prenatale, ha fatto una ricerca con apparecchi ecografici modernissimi in 3D identificando gli embrioni tre settimane dopo la fecondazione. Secondo questo studio la gran parte dei gemelli muore entro i primi tre mesi.
Questa scoperta si è appresa, e quindi monitorata, soprattutto con le ripetute ecografie cui ci si sottopone per le fecondazioni assistite; la prassi ginecologica odierna che colloca la prima ecografia fra la 5’ e l’8’ settimana di gestazione non permette di giungere allo stesso risulato (e ricordo che fino a qualche anno fa non si facevano ecografie durante la gravidanza).
Questa scoperta ha visto le sue prime luci ufficiali intorno agli anni ’80. Al 3° Congresso Internazionale di Gemellogia, che si è svolto a Gerusalemme nel 1980, il dott. Blockage evidenziò che il fenomeno dei gemelli evanescenti è un fatto fisiologico della razza umana: quando veniamo concepiti non siamo soli, è presente nell’utero materno, con noi, nostro fratello o nostra sorella. Cresciamo insieme e con lui/lei abbiamo un rapporto intimo e tattile fin da subito; l’orecchio (che è il primo organo a formarsi, ancor prima del cervello) ode per primo il battito del fratello, attraverso la circolazione del sangue, e poi quello della madre.
E benché fino alla metà del Novecento si ritenesse che l’embrione fosse un’entità totalmente incapace di provare emozioni, o percepire il mondo intorno a sè prima dello sviluppo della parte fondamentale del cervello, nonostante fino agli anni ‘50 si pensava che la psiche dei bambini si formasse solo dopo la nascita, oggi sappiamo che feti ed embrioni percepiscono ed interagiscono attivamente agli stimoli (tentano infatti di “scappare” anche agli aghi e gli strumenti artificiali che vengono utilizzati per l’aborto artificiale; si assiste ad una immobilizzazione del feto come in stato di choc).
Le implicazioni psicologiche della Sindrome del Gemello Scomparso (Vanishing Twin Syndrome definita quindi VTS) sono innumerevoli. Ad oggi sempre più esperti si impegnano in tale direzione per meglio comprendere e poi supportare i sintomi e le dinamiche di un rapporto così importante, come quello con il proprio gemello che si risolve, nella maggioranza dei casi, con un distacco inesorabile.
E anche se questo argomento genera molto stupore quando lo si espone e lo si apprende, soprattutto per la prima volta, occorre ricordare e tenere ben presente che si tratta sempre e comunque di un fenomeno naturale.
Gli embrioni hanno una memoria? Esiste una sensibilità pre-natale? Psicologi e ricercatori come Elisabeth Noble, Stanislav Grof, Claude Imbert hanno ipotizzato che esista una memoria del feto a partire dal concepimento. Claude Imbert, in particolare, dottoressa francese specialista in psicologia pre-natale, nel suo libro “L’avvenire si decide prima della nascita” dimostra che molti problemi psicologici, affettivi e somatici hanno origine nella vita pre-natale.
Alcuni studi (Beretta, Bonghi, Testa, 2003) hanno dimostrato che fin dagli stadi più precoci della vita intrauterina i gemelli mostrano specifici comportamenti di coppia, che si confermano nella vita post-natale. Uno dei problemi più importanti che può incontrare un feto è quello della perdita di un gemello.
La comunicazione tra gemelli inizia a livello fetale con reciproche sollecitazioni e risposte che proseguono per il resto della vita. I gemelli sono in continua interazione tra di loro e si condizionano sia a livello psichico che fisico. Si parla di complementarietà marcata, di legami simbiotici e di fusione d’identità (Brustria Rollé, Pogliano, De Pascale, 2007).
La madre può anche non rendersi conto che un embrione è morto ma il suo gemello, diviso solo da una sottilissima membrana, se ne accorge. E questa perdita viene registrata come la prima grande perdita, a cui, in sindrome, si accodano, una dopo l’altra, le pesanti perdite della vita che rotolando ad effetto valanga trascinano con sé un dolore eterno, profondo, permanente, senza fine che può essere elaborato, accolto e trasforamato solo se riconosciuto e modificato nel suo contenuto emotivo.
La gravidanza gemellare condotta a termine resta quindi una sorta di anomalia, di straordinarietà. La normalità biologica conduce, nella maggioranza dei casi, alla sopravvivenza di uno solo degli embrioni. All’inizio si svilupperanno entrambi gli embrioni ma poi un feto morirà; i suoi tessuti verranno riassorbiti dai tessuti materni o dai nostri, o dissecati ed espulsi con la loro placenta prima (sanguinamenti della madre) o durante il parto. I meccanismi di selezione naturale, ovvero questa “casualità” sono gestiti da Madre Natura e tolgono al nascituro e alla madre ogni sorta di responsabilità in merito.
Nonostante questo si studiano gli effetti comportamentali e psicologici che questo “vissuto” lascia nella psiche del “sopravvissuto” che vive una vera e propria sindrome da separazione affettiva. Questa esperienza di morte precoce che avviene nell’utero è un’esperienza di vita di relazione importante.
Secondo il Dott. William Emerson, dell’Istituto della salute mentale degli Stati Uniti, la memoria prenatale è la più influente e formativa specialmente nel primo trimestre intrauterino. Tutte le esperienze del nostro ciclo vitale a partire dalla nostra prima cellula sono conservate dentro di noi.
Secondo lui le persone che hanno perso un gemello in utero manifestano dinamiche comuni: senso di perdita: disperazione e rabbia non espressi; sentimento di paura di subire un’altra perdita, cronico e immotivato, accompagnato da grande insicurezza (timidezza); la paura della perdita spinge la persona a prendere le distanze dagli altri o, al contrario, a creare legami simbiotici e di dipendenza, incapacità di creare legami autonomi attitudine di sottomissione frustrante -se non mi sottometto e non faccio quello che gli altri si aspettano da me morirò – che può provocare ostilità e aggressività perché occupandosi dei bisogni dell’altro si negano i propri. Comportamenti sadici e masochistici: il trauma della perdita del gemello e della quasi-morte vissuta si può trasformare in un bisogno di fare del male ad altri (violenza criminale) o a se stessi (comportamenti autolesionistici).
Le implicazioni sono davvero infinite e intense. La sofferenza è palpabile. All’anamnesi il paziente lamenta un dolore emotivo immotivato a livello razionale ma difficile da rintracciare ed estirpare. E’ una lacerazione insanabile che lascia l’anima a brandelli. Una sensazione di vuoto incolmabile e di smaniosa ricerca del completamento del sé, che risulta tanto più difficoltosa quanto più è sconosciuta.
E anche se la maggior parte di questi sintomi è il comune denominatore di altre patologie psichiche di media e grande importanza, potrebbe essere interessante valutare la presenza di VTS, soprattutto in quei casi in cui altre strade sono già state battute senza essere giunti a risultati soddisfacenti.
E’ importante anche ricordare che non è detto che un gemello sopravvissuto stia male o manifesti sintomi di VTS; infatti non tutti i gemelli sopravvissuti manifestano la sindrome.
Secondo il Dottor Andrea Penna, medico di Torino, ricercatore che da anni lavora sul rapporto struttura familiare e predisposizione allo sviluppo di patologie croniche, la sindrome del gemello scomparso sfocia in particolare in tutte quelle fobie in cui si prova un’eccessiva paura di morire, nell’eccesso di controllo dell’altro, la paura che l’altro muoia, ed infine con le manifestazioni di panico:
la mia esperienza mi porta a limitare il rapporto emotivo col gemello sul rapporto stretto fisico con l’altro e il rapporto separazione-morte. Tenendo presente che almeno il 60% di noi, secondo le mie ricerche e statistica, condivideva la propria vita intrauterina con altri fratelli nelle prime settimane, non possiamo spiegare tutti i disturbi comportamentali con la Sindrome del gemello scomparso”. Egli, infatti, spiega che: “ogni forma vivente anche unicellulare, e priva di un sistema nervoso o organo con funzione simile, ha coscienza di sé, ossia sa differenziarsi dall’ambiente circostante e agisce di conseguenza al suo variare (Varela e Maturana). Lo stato di coscienza del nostro esistere nasce dunque dal momento del concepimento. Tale tipo di coscienza è biologica, fisica e viscerale e va distinta dallo stato di coscienza acquisita per mezzo del sistema nervoso”. Il Dottor Penna aggiunge: “Con molta probabilità il superamento dell’evento da separazione dal gemello ho scoperto essere relativamente superabile poichè è frutto di un fenomeno fisiologico previsto da 30-50.000 anni; i traumi previsti da madre natura sono facilmente recuperabili. Nell’arco della nostra evoluzione siamo stati come selezionati e strutturati in base a questo fenomeno. Infatti possiamo dividere i mammiferi in due grandi categorie: i mammiferi nomadi e i mammiferi che riproducono all’interno di tane. I primi che riproducono all’aperto possono garantire la sopravvivenza di un solo cucciolo alla volta. L’uomo deriva da una scimmia nomade, pertanto la normalità, per la sopravvivenza della specie umana, era partorire un cucciolo solo. La perdita del fratello gemello embrionale diventa pertanto tutt’altro che evento straordinario. Il trauma stesso ci porta a condurre una vita sociale maggiormante aggregante, sempre alla ricerca del necessario contatto fisico dell’altro. Questo apparente trauma fisiologico in realtà rinforza il legame di coppia e di gruppo. Ben diversi sono i traumi o gli imprinting che si manifestano dopo la nostra nascita nel rapporto con i nostri genitori e con i nostri fratelli viventi e mantenuti e rinforzati dalla vita di tutti i giorni e dalla cultura e dalla tradizione tramandataci nel tempo, da parte del gruppo etnico a cui apparteniamo.
Il Dottor Penna conclude:
il recupero della figura del padre e della madre e del fratello è più complesso perchè è un trauma culturale affettivo tramandato (Albert Ellis).
Secondo lui l’atto terapeutico è semplice e consiste nel permettersi di rivivere ogni nostra emozione come normale e facente parte di noi per mezzo di un rito, come per esempio la tecnica del “Sogno guidato” citata nel suo primo libro Ti permetto di far parte di me edito da Uno editori 2015, esposta anche nelle sue conferenze e corsi di perfezionamento per terapeuti.
Per provare a “sentire” se siamo collegati in qualche modo alla Sindrome del gemello scomparso possiamo osservarci nel nostro modo di comunicare e vivere attraverso sogni, disegni, scritti, composizioni o altre manifestazioni artistiche che rilette alla luce di questa teoria sono validi indicatori emotivi per valutare se nel nostro inconscio vi sono le inconfondibili tracce della sofferenza. Le più belle canzoni d’amore, attentamente rivisitate con questa chiave di lettura, sono una lettera al gemello.
Casualmente, e provvidenzialmente, consultando un libro della Imbert dal titolo Un seul être vous manque, mi sono trovata a consultare l’indice senza scopo apparente e ho seguito l’impulso di cercare un capitolo, attratta dal suo titolo: La ballade des jumeaux perdus!
In questo capitolo viene citata la cantautrice e compositrice belga Lara Fabien e la sua canzone Tu es mon autre cantata in duo con la cantante e attrice belga Maurane. La Dottoressa e ricercatrice francese attribuisce, per esempio, a questo brano il potere di stanare l’emozione rivelatrice di questa sindrome.
Leggi qui di seguito le parole del testo gentilmente tradotto dalla versione francese da Maria Luisa Rossi naturopata di Torino:
Anima o sorella
Gemello o fratello
Del nulla ma tu chi sei?
Sei il mio più grande mistero
Il mio unico legame costante
Tu mi avvolgi e mi imbrigli
E non mi perdi d’occhio
Sei il solo animale perduto del mio arcobaleno
Parli una lingua univoca nessuna parola delude
Colei che fa di te il mio Altro
L’essere riconosciuto
Non c’è nulla da comprendere
E che passi l’intruso
Che non potrà comprendere
Poiché sono la sola a percepire
I silenzi e quando ne sono scossa
Tu sei il mio L’Altro
La forza della mia fede
La mia fragilità e la mia legge
La mia insolenza e il mio diritto
E Io il tuo L’Altro
Se non fossimo di qui
Saremmo l’infinito
E se uno di noi due cadesse
L’albero delle nostre vite
Ci custodirà lontano dall’ombra
Tra cielo e frutto
Ma mai troppo lontano dall’altro
Saremmo maledetti
Tu sarai il mio ultimo istante
Poiché sono la sola a percepire
I silenzi e quando ne sono scossa
Tu sei il mio L’altro
La forza della mia fede
La mia fragilità e la mia legge
La mia insolenza e il mio diritto
E Io il tuo L’Altro
Se non fossimo di qui
Saremmo l’infinito
E se uno di noi due cadesse
Suggerisco anche di guardare questo video in modo da ascoltare le sensazioni che probabilmente la lettura ha scatenato. I turbamenti e le emozioni comunicano sempre qualcosa che sta in noi, qualcosa che chiede di venire in luce, un altro modo di applicare la formula del Ti permetto di far parte di me.